Verso la luna

Se durante una delle tante notti che passano senza fare alcun rumore ci prendessimo un momento per alzare gli occhi al cielo, la prima cosa che catturerebbe la nostra attenzione, sarebbe, senza alcun dubbio, la Luna: a meno che le condizioni climatiche, quali nubi e brutto tempo, ci impedissero di contemplarne la sua maestosità.                                                        In primo luogo noteremmo la sua forma: completamente sferica, se tutta illuminata; a forma di falce, se illuminata per metà. Aguzzando la vista o, magari, aiutandoci con un cannocchiale, ci accorgeremmo, anche se con enorme fatica, delle sue profonde cavità che ne rendono la superficie scabra ed ineguale, a testimoniare le parole del “più grande scrittore della letteratura italiana” secondo Calvino, Galilei, il quale non faceva altro che descrivere ciò che vediamo noi oggi dall’abbaino della nostra soffitta.                                              

Ma se ci spingessimo ancora oltre, se guardassimo ancora più in profondità, se posizionassimo un cannocchiale sulla nostra anima, saremmo in grado di scorgere, in una di quelle insenature apparentemente minuscole, la signora Vhd Vhd, seduta su di una sporgenza con in mano la sua arpa, ormai “assimilata all’oggetto di quell’amore extraumano (la Luna)”; oppure Qfwfq che, “privato del suo terreno terrestre”, ora non conosceva altro se non la nostalgia straziante di un dove, un intorno, un prima, un poi; o, perché no, un’ampolla con all’interno il ricordo di un bacio ormai dimenticato, o la ragione (nel caso di Orlando) e le emozioni ormai perdute, cose che in fin dei conti non si sono mai smarrite realmente, ma che semplicemente si sono allontanate un po'.                      D’altronde, tornando alle prime righe, quando guardiamo il cielo col naso all’insù, siamo spinti proprio da questo, da una sensazione di smarrimento che provoca in noi emozioni strane che non siamo abituati a provare. In estate, quando l’escursione termica tra il giorno e la notte non è particolarmente elevata, molte volte mi capita di uscire in terrazzo e di starmene appoggiata alla ringhiera tenendo lo sguardo fisso in alto: immagino linee rette che collegano le stelle delle diverse costellazioni, fino a farle prendere vita. È cosi che “Pegaso” inizia a scuotere le ali e a prendere il volo in quel cielo immenso; è così che “Cassiopea” comincia a ruotare senza pausa, seduta a pettinarsi sul suo trono; è così che io immagino ed animo tutto ciò che la scienza descrive nel minimo dettaglio. Sono integrazioni  surreali che partono dalla scienza e arrivano alla letteratura, la quale sfrutta queste ultime a proprio vantaggio, traendo da esse lo spunto necessario per l’aggiunta di figure retoriche, metafore che rendono un semplice testo, una grande opera letteraria. Proprio in questo modo la creatività si concilia con la scienza: bastano una barca, una scala e del latte lunare per spiegare il moto, intuito dallo scienziato George H. Darwin, del nostro amato satellite; bastano le tagliatelle della signora Ph(i)Nk per dare origine all’universo ipotizzato da Edwin P. Hubble; basta una storia d’amore tra due figure incolori (Qfwfq e Ayl) perché si formino l’atmosfera e gli oceani che circondano la terra, così come basta un misto di immaginazione e realtà per consentire al lettore, non solo di apprendere in maniera rigorosa delle nozioni scientifiche, ma anche di proiettarle in un’altra dimensione, favorendo così la nascita di confronti, interpretazioni, idee, emozioni. Di tutte quelle cose che credevamo perse nel nulla, ma che in realtà si erano soltanto nascoste sulla Luna.

 

Alessandra Toccacieli, IV A LSO