La barriera di separazione israeliana è un sistema di sbarramenti fisici costruito dallo Stato di Israele in Cisgiordania a partire dalla primavera del 2002 sotto il nome di “chiusura di sicurezza” (security fence). Israele considera tale sistema di separazione una barriera contro il terrorismo, mentre i palestinesi la chiamano segregazione razziale. La barriera è molto controversa e il suo tracciato di 730 km è stato ridisegnato più volte soprattutto a causa di pressioni internazionali. Essa consiste per tutta la sua lunghezza in una alternanza di muro e reticolato, con porte elettroniche. Questa barriera è chiamata “muro salvavita” dagli israeliani e “muro della vergogna” o “muro dell'annessione” dai palestinesi. Questi ultimi si riferiscono spesso a questa barriera usando l'espressione araba “jidār al-faṣl al-ʿunṣūrī”, che può significare tanto muro di separazione razziale, quanto muro di separazione razzista. Il nome ufficiale che lo Stato di Israele dà a tale muro è, comunque, chiusura di sicurezza israeliana o barriera anti-terrorista o, ancora, muraglia di protezione.
Per ricostruire le origini e le motivazioni da cui è scaturito il conflitto che ha portato anche alla barriera di cui sopra, bisogna tornare indietro nel tempo, fino al XIX secolo. Sul finire di quel secolo, infatti, il territorio storico-geografico della Palestina, facente parte dell'impero ottomano, non costituiva una suddivisione amministrativa ufficiale dell'impero, ma era diviso tra diverse altre suddivisioni amministrative. La macro-regione estesa dal Mar Mediterraneo all'odierno Iraq era nota come Levante o Grande Siria e la sua porzione meridionale comprendeva il territorio generalmente noto come Palestina. Già nel 1887, Gerusalemme aveva ottenuto una forma di autonomia dall'Impero ottomano, a dimostrazione della sua politica sovraetnica e sovraculturale.
Intorno alla metà del secolo si era però messo in moto il progetto ebraico mirante a porre fine alla propria millenaria diaspora, frutto di innumerevoli persecuzioni, e a rifondare la nazione permettendo il suo ritorno alla "terra promessa", di biblica memoria. Tale progetto venne per la prima volta definito "sionismo" nel 1890, dal nome del colle Sion, dove sorgeva la rocca di David, metafora del nuovo stato ebraico. Principale esponente e promotore di tale iniziativa fu Theodor Herzl che, allo scopo di creare un "rifugio" per tutti gli ebrei del mondo, avviò un'intensa attività diplomatica al fine di trovare appoggi finanziari e politici a quell'arduo progetto. Per molti, la sede di tale Stato doveva necessariamente coincidere con i luoghi santi dell'ebraismo, lasciati ormai da diversi secoli.
Nell'ambito di questa volontà, parte del movimento sionista (soprattutto il sionismo cristiano), per giustificare l'esistenza di un futuro Stato ebraico in loco, sovente si rifaceva allo slogan A Land Without People for a People Without Land ("Una terra senza popolo per un popolo senza terra). Herzl organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897. In esso furono poste le basi per la graduale penetrazione ebraica in Palestina, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e il sostanziale controllo dell'economia che potessero giustificare la rivendicazione del diritto a dar vita a un'entità statale ebraica.
A partire dall'inizio del Novecento la popolazione arabo-palestinese, sentendosi minacciata dalla crescente immigrazione ebraica, dette vita di conseguenza a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria minaccia d'origine straniera. La situazione si protrasse così, tra momenti di tensione e di distensione tra le due fazioni, fino al primo conflitto mondiale e alla conseguente caduta dell'Impero ottomano. Nel 1917, con la dichiarazione di Balfour, un anno prima della fine della Prima guerra mondiale, il governo di Londra si dichiarava favorevole all’istituzione di “una dimora nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, allora ufficialmente ancora parte dell’impero ottomano. In questa dichiarazione vi si annunciava quindi la disponibilità da parte della Gran Bretagna alla creazione in Palestina di una nazione ebraica, che non avrebbe però leso i diritti delle popolazioni non ebraiche.
Con la Seconda Guerra Mondiale, dopo la scoperta della tragica fine di sei milioni di ebrei nei campi di concentramento e di sterminio nazisti, si impose con più forza l'idea della costituzione di uno Stato ebraico. Alla fine della guerra affluirono in Palestina molti ebrei europei che a causa delle persecuzioni antisemite avevano perso tutto. I conflitti tra gli abitanti arabi e i vecchi e i nuovi coloni ebrei si acuirono. A quel punto la Gran Bretagna assistette a violenze tra ebrei estremisti e palestinesi, e subì attacchi terroristici, e così chiese all’ONU aiuto, affinché venisse risolta questa situazione, disimpegnandosi definitivamente.
Nel 1947 l’ONU propose la spartizione del territorio in due aree: da una parte uno stato israeliano, a cui sarebbe spettato il 55% del territorio, con una popolazione di circa 600.000 abitanti; dall’altra uno stato palestinese, a cui sarebbe spettato il 45% del territorio, con una popolazione di circa un milione di abitanti. I rappresentanti del popolo palestinese erano contrari alla spartizione proposta dall’ONU, a causa della poca terra che gli era stata assegnata rispetto al numero dei propri abitanti.
Nel 1948, però, Ben Gurion proclamò unilateralmente (cioè senza un accordo con la controparte) la nascita dello Stato di Israele, che subito dopo fu riconosciuto dalle più gradi potenze del mondo. A questo punto si scatenò la guerra tra israeliani e arabi. L’opinione pubblica mondiale probabilmente fu influenzata dalla pubblicazione delle foto della Shoah. Inoltre gli USA avevano degli interessi a riconoscere quel nuovo stato: avrebbero avuto un alleato filoccidentale nel Medio Oriente
I Paesi arabi dell’area si opponevano al piano e le forze militari di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq attaccarono subito Israele. La prima guerra del conflitto israelo-palestinese si risolse a favore di Israele nel 1949, così come la guerra con l’Egitto nel 1956, la guerra dei sei giorni nel 1967 e quella del Kippur nel 1973. Nel 1979 Israele ed Egitto firmarono la pace, mentre nel 1982 Israele condusse un’operazione militare in Libano contro le basi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) nei campi profughi libanesi.
Nel 1987 iniziò la prima Intifada, ondata di violente proteste palestinesi nei territori occupati e amministrati da Israele. Nel 1993 gli accordi di Oslo, con la stretta di mano fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell’Olp Yasser Arafat, segnarono l’inizio di un vero e proprio processo di pace fra palestinesi e israeliani e la creazione di un’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza e in Cisgiordania, primo passo del processo che avrebbe dovuto portare alla nascita di uno Stato palestinese. Questo processo, però, non si è mai concluso. La storia recente è stata segnata da scontri e violenze, alternati da tentativi di negoziato. A partire dal 2000, la seconda Intifada portò ad uno scoppio di violenza senza precedenti con un’ondata di attentati suicidi in Israele e pesanti interventi militari israeliani.
E’ a questo punto che nel 2002 Israele cominciò a costruire la barriera di separazione con lo scopo formale di impedire gli attentati. Il muro venne costruito soprattutto nel versante palestinese, favorendo così l’insediamento di altri coloni israeliani. Attualmente in Cisgiordania ci sono 132 insediamenti, in cui vivono quasi 400.000 coloni israeliani, a questi si aggiungono 97 insediamenti costruiti senza un’autorizzazione ufficiale.
Tommaso Tiberi III A LSO
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