Che scienza e parità dei sessi siano entrambi di vitale importanza per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale sembra sia convincimento generale e incontestabile ormai, e negli ultimi 15 anni la comunità scientifica globale si è impegnata a coinvolgere sempre più donne nella scienza.

Tuttavia, di fatto, si continua ad escluderle dal partecipare pienamente agli studi scientifici: attualmente, meno del 30% dei ricercatori in tutto il mondo sono donne. Secondo i dati dell’UNESCO (2014-2016), solo il 30% di tutte le studentesse seleziona i campi relativi allo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) per l’istruzione superiore. Pregiudizi di lunga data e stereotipi sessisti continuano ad allontanare le donne dai campi legati alla scienza.

Al fine di raggiungere un accesso completo e paritario e la partecipazione alla scienza per donne, e conseguire ulteriormente la parità genere e l’emancipazione delle donne, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che dichiara l’11 febbraio come Giornata internazionale delle donne nella scienza.

Una scienziata che vogliamo ricordare, dunque, nella ricorrenza di questa giornata è Rita Levi-Montalcini.

Rita Levi Montalcini nasce a Torino il 22 aprile 1909 e muore a Roma il 30 dicembre 2012. E’ stata una neurologa, accademica, senatrice a vita e premio Nobel per la medicina nel 1986. Negli anni Cinquanta con le sue ricerche scoprì e identificò il fattore di accrescimento della fibra nervosa NGF, per la cui scoperta è stata insignita nel 1986 del Premio Nobel.

Sin dai primi anni dell’università si dedica allo studio del sistema nervoso, ma nel 1938 la proclamazione delle leggi razziali le vieta di continuare i propri studi. Questo non le impedisce di continuare le ricerche sui meccanismi della differenziazione del sistema nervoso prima in Belgio e poi di nuovo a Torino nel 1940, in un piccolo laboratorio privato. Durante l’occupazione tedesca, lei e la sua famiglia trascorrono un periodo a Firenze per nascondersi dai nazisti, rimanendo comunque in costante contatto con i dirigenti del Partito d’Azione.

Nel 1947 accetta un incarico alla Washington University e negli anni successivi lavora anche a New York e Rio de Janeiro. Quella che doveva essere una breve permanenza si rivela poi un soggiorno trentennale: fino al 1977, infatti, rimane negli Stati Uniti, dove realizza gli esperimenti fondamentali che tra il 1951 e il 1952, durante la sperimentazione di un trapianto di tumore di topo sul sistema nervoso dell’embrione di un pulcino, la conducono alla scoperta del fattore di crescita nervoso, una proteina che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche.

Nel 1969 si stabilisce definitivamente in Italia per assumere la direzione dell’Istituto di Biologia Cellulare del CNR a Roma, al quale dedicherà parte delle sue ricerche fino alla morte. Dal 1983 al 1998 dirige l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, divenendo membro delle più prestigiose accademie scientifiche, come l´Accademia Nazionale dei Lincei, l’Accademia Pontificia, l’Accademia delle Scienze, the National Academy of Sciences negli USA e la Royal Society.

Rita è una donna simbolo la quale ha dovuto fronteggiare e sopravvivere a due guerre contemporaneamente, in primo luogo è vissuta in uno dei periodi più bui della storia, cioè quello del nazifascismo che essendo lei ebrea dovette fuggire dalle aggressive persecuzioni, inoltre essendo una donna non veniva considerato all’altezza o a pari di altri uomini, quindi appena è riuscita a scalare una montagna come quella dello sfuggire dal nazifascismo si è dovuta confermare in una società fermamente maschilista quindi arrivata in cima si è trovata di fronte un’altra montagna che gloriosamente e con molti sacrifici è riuscita a scalare entrando di merito tra le donne più influenti della storia, come un modello per tutti coloro che si battono per i diritti delle donne.

 

Riccardo Falasconi e Tatiana Gvosdiezcha, III C LSA