Titiro , pastore fortunato, si riposa all’ombra di un ampio faggio, intento a suonare uno strumento musicale mentre Melibeo sta lasciando campi e patria. Titiro ha infatti ricevuto da un benefattore il privilegio della libertà e la possibilità di restare nelle sue terre, Melibeo, al contrario, sarà costretto a vagare in terre lontane e sconosciute mentre un empio soldato raccoglierà i frutti delle sue fatiche. Titiro e Melibeo, i pastori della prima ecloga virgiliana, stanno ad indicarci come la storia e gli eventi decidono e cambiano il destino di ciascuno di noi. Sia restare nella propria terra come Titiro che andarsene, come Melibeo, costringono ad un cambiamento: di sguardo, di direzione, di valori. Melibeo perde le sue terre e parte del suo gregge, vede davanti a sé un futuro incerto; Titiro perde un amico, un affetto e, insieme, un pezzo del suo passato: anche per lui il futuro assume tinte incerte. 

Virgilio sa leggere nel cuore dell’uomo, così Titiro e Melibeo diventano emblemi dell’eterna condizione umana. Una condizione precaria, fatta di cambiamenti, partenze e addii, suggellati dalla splendida metafora del tramonto «maioresque cadunt | altis de montibus umbrae.» 

Titiro e Melibeo sono i volti di un’umanità che cambia lingua e cultura ma che rimane uguale nei recessi del cuore: giovani che lasciano il proprio paese alla ricerca di un futuro professionale più sicuro e gratificante, migranti che fuggono dalla propria terra alla ricerca di pace e migliori condizioni di vita. Gli stessi drammi umani, la stessa, eterna, condizione umana fatta di cambiamenti, partenze e struggenti addii. 

Titiro e Melibeo sono ciascuno di noi, sono gli amici che partono verso un destino migliore o quell’umanità confusa e sofferente che vediamo sbarcare nei nostri porti, che ci tende la mano all’uscita del supermercato o ci supplica, dignitosa, all’angolo della strada. Così i ragazzi della classe 4 A hanno riconosciuto e raccontato Titiro e Melibeo.

 

Prof.ssa Maria Silvia Nocelli