L’ “arte della felicità”

Secondo Leopardi, la vita assume significato nel momento in cui l’uomo si pone degli obiettivi e si mette alla ricerca di questi ultimi, che, una volta raggiunti, potrebbero renderlo felice. L’autore non riesce, invece, a comprendere come possano vivere quelle persone che rinunciano a porsi un fine nella vita, riducendo la propria esistenza a soli “trastulli” e superficialità.

Nella società odierna, la maggior parte dei giovani conduce la propria vita, secondo le parole del poeta, come degli “scioperati e spensierati” che passano superficialmente da un divertimento all’altro, senza porsi troppi quesiti su quale sia il proprio scopo nella vita ed evitando di riflettere riguardo il proprio futuro. Sembrano dunque regnare incontrastate frivolezza e superficialità: la maggior parte dei desideri sono puramente materiali, spesso possono essere raggiunti in poco tempo e talvolta non sono neanche “veri desideri”, ma voluti solo perché posseduti da qualcuno che è ammirato, o invidiato da molti.

Infatti, è ormai molto diffusa l’idea secondo cui la felicità sia proporzionale agli oggetti o al denaro che si possiede. In questo modo, invece, non si raggiunge una felicità autentica. Si dice << i soldi non fanno la felicità>> e questo è vero: avere tutti i soldi del mondo permetterebbe di viaggiare, fare ciò che si preferisce, comprare praticamente qualsiasi cosa si voglia, soddisferebbe ogni bisogno materiale e permetterebbe la realizzazione di qualsiasi desiderio. Tutti, tranne quello di raggiungere la felicità. Infatti, poter avere ogni cosa sicuramente renderebbe tutto più agevole nella propria vita, ma non sarebbe automaticamente legato al sentirsi felici e realizzati, appagherebbe soltanto un piacere apparente, fatto di divertimenti e frivolezze, la superficie dell’esistenza.

Nella società di oggi, inoltre, non c’è più quell’attesa che per Leopardi rappresenta uno dei momenti illusori di felicità in una vita piena di sofferenza: non ci si sofferma più sul momento dell’attesa, non si lotta per ambizione della conquista, ma i tempi si abbreviano e, il più delle volte, si ottiene tutto e subito: sembra essere sparita la dimensione verticale delle esperienze, quella dell’approfondimento, della riflessione; tutto corre in orizzontale.

Oggi, la nuova idea di felicità è spesso basata su elementi che non esistevano un paio di decenni fa e da cui adesso, invece, dipendono le carriere di migliaia di persone, come il numero di followers sui social-media. È come se la cosiddetta “felicità” di un individuo dipendesse dall’immagine che egli dà di se stesso agli altri, anche se spesso falsa, e chi ha più successo degli altri, l’Influencer, ne ricava anche dei profitti. Anche in questo caso, però, la “felicità” che ne deriva è apparente, una finzione, perché porta a brevi momenti di soddisfazione, interrotti poi dalle problematiche della vita di tutti i giorni.

Tuttavia, quei giovani che non si fermano mai a riflettere sulla propria vita e che trascorrono il loro tempo passando di svago in svago, senza pensare troppo al proprio futuro, molte volte, sembrano essere più felici di altri ragazzi che, invece, si preoccupano di porsi uno scopo nella vita, e che si interrogano sul senso di questa. Questi ultimi, come scrive anche Leopardi, cercando di raggiungere i propri obiettivi, riescono a provare un certo piacere attraverso le proprie speranze ed ambizioni, anche se si tratta di momenti brevi, poiché, una volta terminata la ricerca, infinita per durata ed estensione, si rendono presto conto di non aver raggiunto la felicità e che le loro azioni sono state limitate. Il tema della ricerca interminabile e futile dell’oggetto desiderato, che non permette di raggiungere la felicità, è centrale nell’opera dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. L’episodio del palazzo di Atlante (canto XII) è incentrato proprio sulle gesta inutili dei personaggi, che cercano di ottenere ciò che desiderano, senza riuscirci, non facendo altro che illudersi nella loro infinita ricerca inconcludente: inseguono solo ombre ed immagini fittizie degli oggetti desiderati, ingannati dall’incantesimo di Atlante, che li illude di trovarsi ad un passo dall’irraggiungibile felicità.

Spesso coloro che non si pongono domande come “a che servirà la mia vita?”, che non hanno determinate ambizioni e che vivono giorno per giorno, quasi senza meta, sembrano, dunque, più felici e si accontentano di condurre la propria vita spensieratamente e superficialmente. Questo tema riguarda tutti i tempi. Leggendo Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, nel quale molti dei ricchi personaggi dell’alta società degli anni Venti vivono in modo superficiale, si dedicano completamente allo sfarzo ed al divertimento, senza porsi problemi esistenziali o morali, ma approfittandosi spesso delle persone oneste per raggiungere i propri fini puramente materiali. Lo stesso protagonista, Jay Gatsby, viene tradito dall’amata Daisy, a cui era sempre stato fedele, la quale alla fine lo abbandona per non dover rinunciare alla propria vita di ricchezze e comodità, lasciandolo solo.

La superficialità di tutte queste persone, dei giovani ed anche di molti adulti di oggi, come anche del passato, molto spesso sembra, quindi, la strada più semplice per raggiungere la felicità. Sembra, ma non lo è. Se, da un lato, nell’affrontare la vita con superficialità e nel non soffermarsi troppo sulle proprie azioni si raggiunge più facilmente una certa serenità, dall’altro si rimane “vuoti”, come se si rinunciasse a penetrare davvero nella vita: le emozioni che si provano e le esperienze che si vivono sono povere, scarne, non hanno di certo il sapore di conquista di felicità e consapevolezza.

Esiste, però, una netta differenza tra superficialità e “leggerezza”, che viene approfondita in modo particolare dal celebre Italo Calvino in Lezioni americane. Secondo l’autore, essere “leggeri” non significa essere frivoli, non equivale a farsi scivolare addosso la negatività della vita, non vuol dire evitare i problemi: la leggerezza di Calvino è vivere la pesantezza del mondo da un altro punto di vista, significa affrontare l’esistenza non di petto, ma da una prospettiva alternativa. Dunque, l’unico modo per sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa, che sta trasformando il mondo in pietra, è innalzarsi come l’eroe Perseo ed osservarla dal suo riflesso nello scudo, riuscendo così a piombare su di lei e a sconfiggerla. La nostra forza, come quella dell’eroe, non sta quindi nel rifiuto della realtà in cui siamo costretti a vivere, ma nel rifiuto di uno sguardo diretto con essa, cioè nell’osservare la vita da un’altra prospettiva. Secondo Calvino, solo così si può sfuggire al peso del mondo coltivare il bello della nostra esistenza come i coralli che nacquero dai rami secchi toccati dalla Medusa.

Probabilmente, la vera “arte della felicità” è ignota all’uomo, che per natura comunque non smette mai di cercare; forse sta in coloro che riescono a vivere giorno per giorno, seguendo comunque una propria aspirazione ed affrontando emozioni ed esperienze quotidiane con sensibilità, forse sta in coloro che sognano nell’attesa, forse sta in coloro che acquisiscono saggezza, forse sta in coloro che non si fanno sopraffare dalla pesantezza dell’esistenza…forse.

 

Febe Pappafico, IV C LSA