ALEXANDER LANGER (1946-1995)

L’AUTORE 

Alexander Langer è stato un politico, pacifista, scrittore, giornalista, ambientalista, traduttore e docente italiano. Aveva sempre mille occupazioni, impegni, appuntamenti. Aveva relazioni sparse per tutto il mondo che lo legavano a città lontane, ma anche a paesi vicini, come Sterzing, il luogo in cui è nato. Con la sua calma riflessiva, il suo spirito mite e al contempo visionario e ambizioso, i suoi modi semplici, gentili, ma efficaci e la sua speranza senza fine, è riuscito a portare sulle spalle il peso di tutte le responsabilità che aveva e di tutti i mali del mondo senza vacillare né arrendersi per tutta la vita fino a quando, il 3 luglio del 1995, stanco e spento, non ce l’ha fatta più. Si è ucciso. 

Ma per quarantanove anni la sua pacata determinazione lo ha spinto ogni volta a mettere in spalla il suo zaino e viaggiare a lungo e ha alimentato in silenzio la speranza modesta ma intensa di un vivere “lentius, profundius, dulcius”, più frugale, in cui “l’agonismo e la competizione non sono la norma quotidiana ed onnipervadente.” Sognava “un mondo pacificato, liberato dall’aggressività delle armi e dallo sfruttamento distruttivo dell’ambiente, il regno della cooperazione al posto della concorrenza, della solidarietà al posto della competizione, l’equilibrio economico ed ecologico al posto dell’espansione e della crescita, la salvaguardia e la valorizzazione delle diversità invece che l’omologazione e la standardizzazione di tutto e di tutti, una dimensione conviviale e non industriale”. 

Aveva fiducia nell’umanità, che purtroppo ancora adesso si esemplifica nel “gesto dell’uomo che getta, che butta via. Qualcosa. Qualunque cosa.”, che “conosce il prezzo di tutto, ma il valore di niente.” (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray). Ma come ritrovare il valore delle cose, della natura, degli altri? Le soluzioni razionali non mancano per Alex che scrive e parla nel corso dell’intera vita di come agire concretamente e quotidianamente. Ma ciò in cui lui confida va ben oltre la pratica. Alexander - che ha prima frequentato il liceo francescano a Bolzano e poi studiato Sociologia a Trento- non si limita a proporre, suggerire, inventare al solo scopo di raggiungere il suo obiettivo, come è tipico delle dinamiche politiche ed elettorali, lui, politico “impolitico”, analizza a fondo le dinamiche del singolo in rapporto alla comunità, alla società, che ha bisogno in primis di una libera ed individuale “conversione ecologica”, di una vera e propria inversione di rotta che non può essere imposta da decreti leggi o sanzioni, ma deve coinvolgere il lato più profondo di ognuno di noi. Si tratta dunque di un “pentimento” individuale senza il quale la “conversione ecologica” non può avvenire. Al sogno si affianca la realtà e nasce così un’“utopia concreta”, una rivoluzione lenta, dolce e profonda che non si grida in piazza né si scrive sulla prima pagina del giornale, bensì si fa con costanza e dedizione nel proprio piccolo, ogni giorno.

IL PENSIERO ECOLOGICO E LE UTOPIE CONCRETE 

Alexander nasce nel 1946 a Vipiteno, nel Sudtirolo. Sin da ragazzo si mostra interessato alle questioni politiche e sociali della regione in cui vive. Frequenta le scuole medie e il Liceo classico dei francescani a Bolzano dove apprende i principi di condivisione, carità e pace: caratteri per i quali si distingueranno anche gli interventi e la sua attività politica futuri.

Nel 1961 fonda un giornale “die Brücke” (“il ponte”) in cui si era liberi di scrivere sia in tedesco che in italiano. Il suo desiderio è quello di creare una comunità cristiana legata non alla ritualità della religione ma al messaggio originario di fratellanza e uguaglianza che lui stesso vuole veicolare attraverso il giornale.

Terminato il liceo si iscrive a Giurisprudenza a Firenze, senza mai perdere di vista le vicende politiche del Sud Tirolo. A Firenze viene a contatto con la sinistra italiana che si divide in due: Cattolici (DC) e Marxisti (PCI). Tornato a casa partecipa ai movimenti provinciali del ‘68. Intanto insegna e due anni dopo milita in Lotta Continua, un gruppo della sinistra extraparlamentare che pubblicava anche un quotidiano con lo stesso nome. Dopo un anno di servizio militare intraprende un viaggio in Germania seguendo il suo spirito nomade, il desiderio si tessere relazioni altrove e la voglia di cambiamento. Lì fermentano numerosi gruppi pacifisti, ambientalisti ed ecologisti nei quali il giovane Alexander non può fare a meno di imbattersi. Quando è di nuovo in Italia torna a insegnare, questa volta a Roma, ma nel 1978 si ritrova presto in Sudtirolo dove si impegna per la convivenza interetnica e fonda la Nuova Sinistra, portandola nel parlamento provinciale. 

Nel 1981 ci fu la schedatura etnica considerata da Alexander come un attentato alla democrazia, un razzismo legale. Alexander non firma. Gli viene revocato il trasferimento come insegnante a Bolzano poiché non schedato come tirolese di lingua tedesca. Questo ci dimostra come i suoi ideali di convivenza pacifica interetnica (e non solo), coltivati sin da ragazzo, non si fermano alla teorizzazione,  ma si concretizzano in piccoli ma coraggiosi gesti.

Cenni storici sul partito dei Verdi

Il pensiero di Langer si traduce nella sua ininterrotta azione politica. Nel 1983 fonda la Lista Alternativa per il Sudtirolo. Diventa consigliere comunale e porta avanti i suoi ideali di convivenza, incontro, dialogo, impegno comune tra diverse etnie, ma anche le tematiche della pace e dell’ambiente. Questo non solo per il Sudtirolo, ma anche per i paesi sconvolti e disgregati dalle guerre civili (ad esempio la Jugoslavia)

In Italia, in quel periodo, la coscienza ecologica è sparsa. Ecologisti e ambientalisti operano attraverso associazioni quali, ad esempio, WWF, Lega Ambiente, Club di Roma, Pro natura. Non esiste, però, un partito politico che a livello istituzionale avanzi le istanze, le proposte, le idee di quella fetta di popolazione che si batte a difesa dell’ambiente. 

Così, dai primi anni Ottanta, Langer inizia ad organizzare convegni, assemblee che delineano i caratteri ancora non chiarissimi di quello che sarà il primo partito ambientalista d’ Italia: i Verdi (FdV, Federazione dei Verdi).

Ma dove nascono i primi partiti Verdi?

Compaiono per la prima volta negli anni Settanta, nella Germania occidentale. In quegli anni vennero fondati I Verdi, che raccoglievano ambientalisti e pacifisti che si opponevano alle armi atomiche e all'uso dell'energia nucleare e si battevano per migliorare la qualità della vita nelle grandi città. 

Nel 1982 la componente più moderata del partito diede vita al Partito Ecologico-Democratico (ÖDP), oggi presente quasi unicamente in Baviera. L'ÖDP contestava le forme di protesta troppo radicali messe in atto dal movimento. Nel 1987, dopo lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl e la battaglia contro l'abbattimento delle foreste, il partito aumentò considerevolmente i suoi voti giungendo, alle elezioni parlamentari, all'8,3% dei voti. In questi anni leader del partito verde tedesco sarà Joschka Fischer, che manterrà tale ruolo fino al 2005.

E in Italia?

Le prime formazioni ambientaliste fanno la loro comparsa alle elezioni regionali del 1985, in cui, pur prive di organizzazione comune, si presentano in 11 regioni con lo stesso simbolo del "Sole che ride" e la denominazione di "Lista Verde". Questo progetto sfocia, l'anno seguente, nel raggruppamento di tali movimenti ambientalisti ed ecologisti in un unico soggetto politico, che vede la nascita il 16 novembre 1986 a Finale Ligure, noto come Federazione delle Liste Verdi.

I Verdi si presentano per la prima volta ad una competizione politica nazionale in occasione delle elezioni politiche italiane del 1987, ottenendo il 2,5% alla Camera (dove eleggono 13 deputati) e il 2% al Senato (dove eleggono 1 senatore). Il primo capogruppo dei Verdi alla Camera diventa Gianni Mattioli, leader delle battaglie antinucleariste.

Langer definisce i Verdi come apartitici. Non si schierano con la Dc o il PCI. Non hanno finalità elettorali. Aderiscono però agli ideali e alle “virtù verdi”. Non strumentalizzano le tematiche. Nella primavera del 1985, in occasione dell'apertura dell'assemblea nazionale dei "verdi" italiani a Firenze, Langer dichiarò esplicitamente che gli ecologisti "non sono né di destra né di sinistra".

I Verdi cominciano a radicarsi sul territorio, a svolgere la loro azione parlamentare e si ripresentano agli elettori in occasione delle elezioni europee del 1989, come "Lista Verde - Verdi Europa": il risultato è in ascesa, la federazione ottiene il 3,8% eleggendo tre europarlamentari (Alexander Langer, Gianfranco Amendola ed Enrico Falqui). Nel frattempo, tuttavia, si coordina un nuovo movimento verde, i Verdi Arcobaleno, che alle medesime elezioni del 1989, conquista il 2,4% eleggendo Adelaide Aglietta e Virginio Bettini al Parlamento europeo.

Diventare parlamentare intimoriva Langer sia perché non conosceva gli effetti che tale ruolo avrebbero avuto su di lui sia perché era convinto che i cambiamenti si realizzano dal basso, dalle piccole azioni.

Lui stesso si definisce un “politico impolitico”: preserva le sue scelte personali e politiche dai giochi di potere imposti dalla politica di partito. Con i suoi interventi vuole, per prima cosa, far attecchire dentro di noi le “virtù verdi”, proprie del partito che rappresenta, le quali si esprimono e si realizzano attraverso le nostre azioni. 

Alexander pensa a un “profondo, radicale e critico ripensamento dei modelli culturali, sociali, economici su cui la società mondiale e ogni singolo individuo impronta la sua vita”.

Ma quali sono queste “virtù verdi”? 

Dal 27 al 30 agosto del 1987 a Brentonico (Trento) si tenne il convegno “Il politico e le virtù”. Alexander intervenne elencando le “virtù verdi”, qui riassunte. È interessante notare come queste qualità non facciano riferimento tanto al partito in sé, quanto al proprio io. Aderire agli ideali verdi sembra quasi abbracciare una confessione, convertirsi a un nuovo stile di vita, un nuovo modo di pensare: lavorare su sé stessi per vivere e comprendere a fondo la realtà e l’ambiente. Alexander crede infatti che “si potrà avere una politica ecologica solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate cioè nella storia e nell’identità dei popoli)”. Insomma, Alexander è un “politico impolitico” proprio per questo. 

Ora però, passiamo in rassegna le virtù verdi. 

La prima è la consapevolezza del limite, del fatto che le risorse esauribili a cui l’uomo attinge finiranno. Una volta acquisita questa consapevolezza il pensiero deve discostarsi dalla smania di produrre di più, consumare di più, guadagnare di più, controllare di più. Compresi i limiti, è necessario rispettarli. Come? Non facendo cose fattibili oggi, ma delle quali non si possono controllare le conseguenze: anche questo significa rispettare un limite, non imposto da nessuno se non dalle previsioni degli scienziati che oggi più che mai parlano chiaro. 

La seconda è l’auto-limitazione che Alexander reputa più virtuosa della “limitazione subita per pressione”. Una volta acquisita la consapevolezza dei limiti è bene imporseli, per ripristinare l’equilibrio, per emergere dalla situazione di degrado ambientale in cui si vive. Ma, come i tossicodipendenti, caduti nel baratro, nel circolo vizioso, per ritrovare l’equilibrio ci si deve pentire dei peccati commessi a discapito dell’ambiente.

Alexander fa presente che il pentimento degli Stati è impossibile. Infatti confida in quello delle persone, nelle loro “scelte di vita rigorose, conformi ad un rapporto misurato ed equilibrato con la natura”. La coscienza ecologica non è quella “innocente omicida del progressismo”, ma piuttosto una “coscienza pentita”, convinta della ferita gravissima, e presto irreparabile, inferta dagli uomini alla vita della terra. Si tratta di un’esperienza intima e profonda. 

Solo così potrà avvenire la conversione ecologica, termine sia spirituale che economico e di organizzazione sociale che non reca benefici soltanto all’ambiente, ma a tutti. Alexander infatti crede che lo sviluppo industriale e tecnologico sia un progresso impari a differenza della conversione ecologica, processo egualitario che offre stessi privilegi e privazione sia ai ricchi che ai poveri. Inoltre definisce l’ecologia non come “un lusso dei ricchi, ma piuttosto una necessità dei poveri”. Questo perché l’economia convertita non guarda al profitto di pochi a discapito di molti, ma postula l’equilibrio globale nel senso più esteso del termine: pace, giustizia, uguaglianza, integrità della biosfera.

Ma in entrambi i casi si tratta di limitazioni imposte. La grande virtù invece dipende proprio dalla nostra volontà. Si tratta dell’obiezione di coscienza, la capacità di dire di no al potere: al governo, al consumismo, al conformismo televisivo che, ad esempio, induce a comprare appositamente alcuni prodotti. Alexander parla persino dell’obiezione degli operai o tecnici alla produzione di armi. La riflessione ecologica prende qui caratteri pacifisti: pace nel mondo e ecologismo appaiono in perfetta comunione. A questo punto però, subentra l’azione concreta che dalla visione idealizzata degli uomini in convivenza pacifica con la terra e con le altre etnie, ci riporta alla vita reale, alle nostre piccole azioni che in effetti possono fare la differenza. Per Alexander è utopico, ma allo stesso tempo concreto, realizzabile: lui crede davvero al potere che ognuno di noi ha di rifiutare il ruolo di semplice rotella dell’ingranaggio che non ha alcuna responsabilità nel sistema, usato spesso come scusa e difesa. 

Un’altra virtù è quella di privilegiare il valore d’uso al valore di scambio. Se si dovesse raffigurare l’uomo del nostro tempo, bisognerebbe scegliere l’immagine dell’uomo che getta, che butta via qualunque cosa. Perché? Perché il valore di scambio, ovvero il valore che assume un prodotto nel mercato (in relazione al costo della merce) è basso: “Se costa poco, vale poco”. Si noti per esempio il costo dell’acqua potabile che noi lasciamo scorrere e sprechiamo come fosse un bene privo di valore. Ma, in realtà, anche se fosse alto (ad esempio quello di uno smartphone che costa diverse centinaia di euro) la dinamica resta la stessa, poiché società consumistiche quali la nostra godono di un certo benessere che permette loro di sprecare anche merci ad alto valore di scambio: “Costa tanto, ma, poiché posso ricomprarlo quando voglio, non è necessario averne cura”. Sicuramente se consideriamo i prodotti in base al valore che possono avere sul mercato, l’asse resta orientata verso il profitto e dunque il consumo sfrenato. Se, d’altra parte, considerassimo il valore d’uso delle merci, questo si tradurrebbe con un consumo cosciente dei prodotti: “Tanto più è di valore quel bene, perché posso farne buon uso, tanto più ne eviterò lo spreco, garantendone anzi il riuso, il riciclaggio”. 

Legato a questo criterio di valutazione dei beni vi è anche la tendenza di rendere tutto mercificato, ovvero di creare un prodotto non per l’utilizzo ma per la vendita. L’idea di Langer, dunque dei verdi, è quella di privilegiare la sussistenza al profitto, al mercato. Ciò significa produrre non per il guadagno che si ricaverà, ma per la propria sopravvivenza che non richiede un consumo così sfrenato, anzi, se solo lo volessimo, ci potremmo accontentare di uno stile di vita più frugale e un approccio alla realtà “lentius, dulcius, profundius”, più lento, più dolce, più profondo. 

Ma qual è il punto di frattura, di incompatibilità tra il sistema capitalistico e industrialista odierno e quello improntato ad una nuova società ecologica? Il concetto espresso di seguito fa luce sulla società di oggi dandone una visione ampia e completa. 

Secondo Alexander il nostro sistema capitalistico e industrialista, grazie alla tecnica e alla scienza, allontana il più possibile i costi (conseguenze da pagare) dai benefici (il benessere che guadagno). Ciò significa che chi ricava i benefici addossa i costi ad altri, li scarica altrove: ad altre classi sociali, altre aree geografiche (come il Sud, il Terzo mondo ecc.) o persino ad altre generazioni, quelle future. La scissione tra costi e benefici non riguarda soltanto le grandi imprese, ma chiunque ricavi un beneficio da esse, ad esempio l’energia elettrica che usiamo. I consumatori però, spesso non usano soltanto l’energia che hanno a disposizione, ma, eccedendo nel consumo, si appropriano anche dell’energia di chi ha uno standard energetico più basso e raggiungono una “spesa energetica” che sarebbe insostenibile per la Terra, nel caso venisse davvero attuata dai 7 miliardi di persone che la abitano. 

In quale dimensione si può trovare la soluzione al sistema capitalistico e industrialista che degrada l’ambiente?

La dimensione nella quale si trova una soluzione, ovvero nella quale si conciliano ragioni ecologiche e democrazia, per Alexander è quella locale. Essa non è astratta, non è finta, non è cartacea o soltanto idealmente pensata, ma è percepibile dal cittadino. Solo in questo caso le virtù verdi potrebbero essere coltivate per libero convincimento, non perché un “dittatore ecologico” lo ha imposto attraverso la tattica del terrore (multe, pene, amministrazione burocratica o autoritaria repressiva). Si tratta piuttosto di una spinta etica positiva che ognuno deve provare personalmente per esercitare quelle virtù che auspicano alla solidarietà e all’equilibrio ecologico.

È inevitabile non restare colpiti dal raffinato sguardo analitico con cui Alexander studia e approfondisce le dinamiche del singolo in relazione alla comunità. Ma lo è ancora di più quando vengono messe in luce le dinamiche del singolo in relazione a sé stesso, ai suoi bisogni, ai suoi desideri, ai suoi vizi e alle sue virtù. Questo è sicuramente frutto di una personalità estremamente sensibile, in grado di dare un giudizio limpido e onesto dell’uomo e del mondo. Eppure non è tutto. Alexander infatti è anche un uomo incredibilmente pragmatico, realistico, capace di traslare gli ambiziosi ideali in azioni e gesti concreti. 

Le utopie concrete 

Tra il 10 e l’8 settembre del 1994 hanno avuto luogo i Colloqui di Dobbiaco, un convegno ad impatto climatico “zero” ideato da Hans Glauber, in cui ogni anno dal 1985 si affrontano le tematiche ambientali di maggior rilievo proponendo di pari passo delle soluzioni concrete. Il contributo di Alexander non poteva mancare. Dal suo intervento emerge il programma disincantato e al contempo visionario che ha come protagonista la “Conversione ecologica”, da interpretare, come si evince dall’analisi delle “virtù verdi”, sia in chiave religiosa-spirituale-esistenziale, sia in chiave economica-industriale.

Il titolo “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile” riassume in breve la concezione di Alexander che ora declineremo attraverso le sue lucide esemplificazioni. 

Abbiamo analizzato, scoperto, diagnosticato, dato l’allarme: ora è il momento di agire concretamente. Questo è il punto della situazione, dalla quale si possono aprire, secondo Alexander, due strade: due “rimedi estremi”. Il primo è la svolta ecologica imposta dalla paura e dall’impotenza di fronte ai disastri epocali prossimi a venire; il secondo è lo “Stato etico ecologico” direzionato verso l’autoritarismo e la dittatura. Il primo non genera impulsi sufficienti al cambiamento e il secondo, come si può intuire, si risolverebbe con risvolti deplorevoli e anti-etici. Pur essendo i due rimedi i più immediati e in un primo momento alquanto efficaci, non sono ciò in cui si deve sperare.

Il lavoro lungo, arduo e paziente è prima di tutto da fare autonomamente sulla propria coscienza e sul proprio stile di vita. Le virtù verdi, di cui abbiamo diffusamente discusso in precedenza, non dovrebbero rappresentare soltanto una classe elitaria, un governo, un “ministero dell’ambiente”, ma dovrebbero attecchire nell’intimo di ognuno di noi. Queste sono le fondamenta etiche necessarie sulle quali costruire una nuova società ecologica che, senza meno, sarà guidata da norme e provvedimenti chiari e unidirezionali. 

Il nocciolo fondamentale dell’inversione di rotta economica è uno: l’economia non dovrà essere canalizzata né attraverso il denaro né attraverso il profitto (come lo abbiamo inteso fino ad oggi). Da questo presupposto seguono tutte le soluzioni concrete che Alexander propone.

Come primo passo, i bilanci pubblici e privati non dovranno basarsi più su dati finanziari (entrate e uscite di capitale), ma su dati relativi alla reale economia ambientale: le reali perdite e i reali guadagni. Alexander lo chiama “bilancio ecologico”. Esso, per essere tale, non può di certo puntare alla crescita economica, intesa come aumento del bilancio annuale. Il nuovo obiettivo che la parte industrializzata del mondo dovrà prefiggersi è la crescita-zero, cauta e moderata, sì, ma senza eccezioni. 

La concorrenza sul mercato mondiale non favorisce di certo la svolta ecologica. Pertanto sono le economie locali a dover fare il primo passo verso una gestione più controllata ed efficace dei bilanci. Inoltre è nelle economie locali che risulta più semplice privilegiare il valore d’uso a quello di scambio, valorizzando l’apporto personale e favorendo nella comunità la relazione cittadino-natura, cittadino-lavoro e cittadino-cittadino. È il senso civico che in questo modo verrebbe rafforzato e di seguito l’attenzione e la cura per i beni condivisi, tra i quali l’ambiente.

In aggiunta a tali provvedimenti, un sistema tariffario e fiscale orientato in senso ambientale è necessario affinché comportamenti anti-ecologici non vengano più premiati e la verità dei costi (di imballaggio, di trasporto merci, di inquinamento…) risulti trasparente ai consumatori. 

Questi sono i provvedimenti finalizzati a reimpostare l’economia. Ma quali sono le svolte a livello sociale?

Per ridurre l’impatto ambientale, oltre al nostro piccolo ma valoroso contributo, sarebbe bene che ogni progetto, ogni nuovo passo in termini di costruzione, invenzione, sviluppo, venisse valutato in base al risultato a breve e lungo termine che avrà sull’ambiente. A valutare l’impatto ambientale dovrà essere una Corte ambientale appositamente costituita.

Anche la redistribuzione sociale del lavoro è un punto fondamentale per l’inversione di rotta. Come si rimborsano i proprietari di terra quando cedono un appezzamento all’autostrada, così deve accadere per imprenditori, operai e impiegati che devono cedere alla ristrutturazione ecologica, ovvero che si devono adattare ai nuovi parametri di valutazione dell’impatto ambientale. Potrebbe succedere che con la chiusura di un impianto chimico numerosi operai restino senza lavoro. È a quel punto che si deve intervenire con un’efficace redistribuzione dei lavoratori per impedire un crollo sociale ed economico.

Tutto questo è facilmente attuabile, come abbiamo potuto osservare, a livello comunale e regionale. Ma non per questo deve mancare una pratica di partnership tra le diverse parti del mondo che rifletta le ineluttabili interconnessioni che fanno di ogni Nazione un piccolo nodo del filo che percorre tutto il globo. Affinché il filo dell’“alleanza per il clima” sia coeso, saldo e resistente nessun nodo si deve sciogliere, nessuno Stato deve mollare la presa.

Il processo per la conversione ecologica dovrebbe infine sfociare in quello giuridico, ovvero in una “Costituente ecologica” che cementifichi le fondamenta socio-culturali ed economiche e vinca definitivamente l’illusione che la crescita di capitale e il consumo illimitato e incosciente siano convenienti per l’uomo. 

Qual è però il disegno che alimenta la speranza di Alexander, che lo stimolò a lottare e a parlarci ancora oggi attraverso i suoi scritti?

Sognare in grande la semplicità

Alexander sognava in grande, eppure il fine della sua attività non era altro che la semplicità. Ciò a cui aspira è il “vivere meglio con meno”: (ri)scoprire la dimensione frugale. Quest’ultima è un luogo, sì, ma non solo: è uno stile di vita modesto, senza sprechi e accessori superflui; è un rapporto autentico con sé stessi, gli altri e la natura; è la consapevolezza del nostro legame con il mondo che ci fa amare senza costrizioni gli animali, le piante, tutti gli uomini; è la riscoperta di un sentimento pacifico, puro e originario, insito nell’uomo perché da sempre parte integrante della natura. 

Alexander con la sua pragmaticità intrisa di credenze, speranze e sogni inneggia alla riscoperta di noi stessi non come produttori senza scrupoli, consumatori incoscienti, ma come uomini (come cristiani, riferendosi ai principi originari della religione). Una volta riscoperta la nostra vera natura e la comunione primitiva che ci unisce all’ambiente e agli altri, la smetteremo di competere e rendere ogni punto di incontro una frattura, ogni dibattito una sfida. La smetteremo di voler agguantare il mondo e poi rigettarlo in forma di rifiuto e ci accontenteremo di prendercene cura e salvaguardarlo, gesto molto più valoroso. Abbracceremo l’albero invece di tagliarlo, costruiremo ponti invece di muri, allungheremo mani al posto di fucili. Lui la definiva una “concezione alternativa” quella del procedere “più lento, più profondo, più dolce”, noi la potremmo definire “l’unica alternativa”. 

Eleonora Cacciola IV A