In questo momento di atroce sofferenza, dove ogni giorno si contano centinaia di morti, persone che muoiono sole in ospedale senza poter essere né viste né salutate un’ultima volta dai propri cari, un momento in cui nemmeno mogli, figli, fratelli, parenti e amici possono accompagnare il defunto al cimitero per un ultimo saluto, dove le persone che soffrono non possono provare a sopprimere il loro dolore stringendosi nell’abbraccio di una persona amata, non possono ricevere una carezza di sollievo da un amico o un parente, in un momento del genere la presenza di Dio diventa ancor più fondamentale nella vita di tanti credenti e sono tante le persone che si rivolgono in maniera insistente a Dio ponendogli tante domande, chiedendogli il motivo di tutto ciò, chiedendogli un aiuto, chiedendogli di fare passare questa pandemia il prima possibile. È in questo periodo con le chiese chiuse e le messe vietate che tanti eventi religiosi sono stati trasmessi in diretta streaming sulle piattaforme social e in diretta tv. Uno di questi è la preghiera del Papa andata in onda in tv alla fine di Marzo, un momento molto toccante e struggente segnato dalla pioggia battente, dal Crocifisso bagnato che pareva piangere e soffrire con noi esseri umani, da una piazza San Pietro completamente vuota e dal suono incessante delle sirene delle ambulanze. Osservare quella scena e ascoltare la preghiera di Papa Francesco è stata un’emozione forte, molto toccante. Due sono i dettagli che mi hanno colpito profondamente: la solitudine di Papa Francesco e il suono delle ambulanze. Queste due caratteristiche hanno rappresentato perfettamente la situazione che tutti noi stiamo vivendo. Tutte le volte che guardavo il Papa in tv c’era sempre una folla di gente che occupava Piazza San Pietro, che ascoltava e acclamava Sua Santità mentre quel 27 Marzo, Papa Francesco era completamente solo, in una gigantesca piazza vuota che pregava e chiedeva la fine di questa pandemia proprio come tutti noi, soli, senza più radunarci nelle Chiese con la propria comunità; il Papa ha rappresentato tutti noi esseri umani, fragili e sofferenti che in questi giorni di malattia e dolore eleviamo preghiere al nostro Dio per far cessare tutto questo strazio. E poi c’era quel suono incessante di ambulanze, quelle sirene assordanti che indicano la malattia, la sofferenza, gli ospedali stracolmi di malati, gli infermieri stremati. Un suono che io, nel mio piccolo Paese, ero abituata a sentire una volta ogni tanto e tutti ci allarmavamo preoccupati per capire cosa fosse successo. In questi giorni questo suono è sempre più frequente anche nei piccoli Paesi e ogni volta è un dolore sempre più atroce perché si ha la consapevolezza che riguarda malati di Covid-19 e non si sa se potremmo più rivedere quella persona. Così è successo ad una famiglia della mia via: il mio vicino di casa salito in ambulanza il mercoledì, salutando la figlia e la moglie, già la Domenica non c’era più. È stato straziante vedere la bara passare nella via e fermarsi davanti casa per permettere alla moglie di salutarlo. È stato un momento struggente, tutti noi vicini eravamo affacciati ai nostri balconi per dare il nostro saluto ad E. perché era diventato parte di noi, perché la nostra via senza lui che girava continuamente avanti e indietro sarà per sempre un po’ più triste e di quel momento mi ricorderò sempre il silenzio cupo in cui era avvolta la strada e le urla di dolore della moglie al terrazzo che piangendo salutava suo marito. Quelle sirene hanno rappresentato tutto questo dolore mentre, d’altra parte, le parole del Papa hanno evocato speranza nelle persone, speranza di un ritorno alla tranquillità, speranza di meno morti e meno dolore ma soprattutto vicinanza e solidarietà perché Lui stesso si è mostrato solo e affaticato un po’ come tutti noi, affranti nella nostra solitudine.
In tanta negatività ho però trovato una piccola luce che c’è sempre in ogni situazione negativa: l’amore della famiglia. Ho riflettuto tanto sull’importanza delle piccole cose, dei dettagli, sulle piccole attenzioni. Durante questo periodo ho capito quanto sia bello poter ridere e passare le serate a guardare un film o a giocare con i propri genitori, ho rispolverato le vecchie tradizioni culinarie di famiglia e mi sono dilettata in cucina cercando di imitare i piatti di mia nonna ma ho anche capito quanto sia doloroso non passare più le domeniche o le festività come la Pasqua tutti insieme attorno ad una tavola imbandita di cibo, sento la mancanza e ho una forte nostalgia degli abbracci di mia zia, degli scherzi con i miei cugini, delle carezze e delle battute dei miei nonni: tanti piccoli momenti che fino ad un mese fa davo per scontati ma che oggi, ho riscoperto, avere un valore fondamentale e mi mancano, mi mancano molto. Così come mi mancano i rapporti di amicizia. È tutto tremendamente difficile e doloroso, ma c’è sempre la speranza che tutto termini presto, che tutto torni tranquillo al più presto e questa speranza l’ho ritrovata nella primavera, nei fiori che sbocciano e nelle giornate che si allungano con il sole che splende fino a tardi inconsapevole della sofferenza che noi umani viviamo e poi l’ho ritrovata nella Pasqua, nel vero significato che questa ha, nella Resurrezione di Cristo, nella vita dopo la morte, metafora della rinascita dell’uomo dopo questo periodo buio.
Mirka Vecchietti, IV E LSU
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