La vita è un diritto inalienabile dell’uomo e non è scontato. L’umanità ha preso faticosamente coscienza dell’importanza della vita nel corso della storia, grazie all’utilizzo della ragione. Tuttavia, comprendere il valore della vita umana non è sufficiente, poiché la civiltà implica anche la tutela e la difesa della stessa. La storia della civiltà, infatti, ci insegna non solo che l’uomo a piccoli passi ha compreso l’importanza della vita in ogni sua manifestazione, ma anche che troppo spesso questa è stata violata. Le guerre cruente, i governanti che hanno ridotto i popoli alla fame e i genocidi fino all’inquinamento della natura sono oltraggi alla vita.
Uno dei crimini più gravi verso la vita è l’olocausto che, sebbene costituisca la massima espressione dell’irrazionalità umana, è stato compiuto a partire da una logica perversa che ha condotto Hitler e il nazismo ad accusare e perseguitare il popolo ebraico. Auschwitz fu una rottura di civiltà, una deflagrante implosione di tutto ciò che l’Illuminismo aveva definito “civiltà europea”. Gli ideali di vita, di libertà e di uguaglianza per tutti i cittadini, il valore della tolleranza religiosa ed il controllo reciproco dei poteri per evitare gli abusi di assolutismo e totalitarismo, con Auschwitz sono stati negati. Per Auschwitz è possibile utilizzare solo un termine: barbarie. Questo nome, utilizzato in passato per indicare l’ignoto, ora lo possiamo risemantizzare come contrario della civiltà, come unica categoria ritenuta adatta a esprimere la misura degli orrori dei Lager, il disprezzo nazista per l’uomo, la repressione delle libertà individuali (di parola, di opinione, di stampa), l’esaltazione del razzismo, la radicalizzazione del pregiudizio anti-ebraico e la negazione di ogni legalità e dignità.
Migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini morirono senza aver commesso alcun crimine che, invece, venne compiuto dai nazisti stessi. Viene quasi spontaneo domandarsi: “Ma perché chi aderì al nazismo accettò di divenire complice di questo sterminio?”. Per comprendere questa scelta, è necessario esaminare l’essenza dell’uomo, cioè riflettere su che cosa esso sia. L’uomo è un essere razionale, ma, oltre alla ragione, deve possedere anche la capacità di costruire un pensiero che si fondi su di essa, deve partorire la verità in modo autonomo (Socrate). Hannah Arendt, dopo aver partecipato al processo Eichmann (accusato di crimini contro il popolo ebraico e contro l’umanità), analizza una nuova forma di male, che nella Germania nazista ha trovato piena espressione. Si tratta di un male compiuto da tecnici e burocrati, a volte inconsapevoli di ciò che facevano. Hannah Arendt si chiede se una persona che, nelle strette maglie di un regime organizzato, adoperi solo la ragione strumentale, ottusa, ignorante delle ragioni e delle conseguenze ultime delle proprie azioni, possa godere di attenuanti per le sue colpe. La risposta è negativa: gli atti compiuti sono oggettivi e si chiede giustizia. Per il diritto, il crimine è sorretto dall’intenzione di fare del male, quindi, se una persona non pensa di fare del male, non si parla di crimine o comunque non si parla di delitto grave. Molto probabilmente per i crimini dell’olocausto, proprio perché estremamente cruenti, non si riuscirà mai ad ottenere giustizia: qualunque pena inflitta ai carnefici nazisti non potrà mai essere adeguata a colmare il dolore di tutte quelle persone alle quali è stata tolta anche la dignità umana. L’unico modo per rendere giustizia all’olocausto è, forse, quello di ricordare, non dimenticare e trasmettere alle nuove generazioni quanto accaduto, con la speranza che l’umanità non compia mai più tali efferatezze e mai più la civiltà si laceri.
Maria VittoriaPaolucci, GiuseppeMaroncelli IV B
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