SAVIANO SVELA LA FAKE NEWS SU DANTE

C’è una polemica che ha coinvolto una buona parte di politici italiani, compresi ministri ed ex ministri, tutti infuriati durante un giorno importante, il 25 marzo, data del 700esimo anniversario della morte di Dante. Apparentemente la causa di tale situazione è un articolo che riguarda proprio quest’ultimo. L’autore del pezzo incriminato è Arno Widmann, noto giornalista e scrittore tedesco nonché traduttore di autori italiani come Umberto Eco, che, però, nello spazio di un solo giorno è stato declassato, almeno agli occhi dell’opinione pubblica italiana, al rango di “tizio tedesco”. E’ naturale chiedersi allora cosa abbia scritto Arno Widmann contro Dante per scatenare tale situazione che ha generato una catena di commenti indignati e reazioni isteriche su siti web, telegiornali e media di vario genere. In poche parole il giornalista tedesco avrebbe accusato Dante Alighieri di plagio e di usare un linguaggio troppo elevato, criptico non immediatamente comprensibile come quello, per paragonarlo ad un altro grandissimo autore, di Shakespeare. Roberto Saviano, giornalista e scrittore,autore,  tra le altre sue opere, del celebre romanzo “Gomorra”, ha analizzato attentamente l’articolo sotto accusa e ha dimostrato come non ci sia nulla di offensivo nei confronti del nostro grande poeta. Per il giovane intellettuale italiano non c’è stato nessun attacco, l’autore tedesco non ha aggredito Dante, non lo ha accusato di essere un plagiatore e non ha detto che è inferiore a Shakespeare. Widmann ha solo affermato che un testo letterario non nasce mai dal nulla, che non si può creare un capolavoro senza aver prima letto, visto, studiato, approfondito, rimescolato e contaminato l’opera stessa. Così anche Dante non nasce dal nulla ma dall’unione di diverse tradizioni, un po’ come quella della poesia provenzale che inventa la poesia volgare. Come dice Widmann, il fatto di avere dei precedenti alla sua opera non sminuisce Dante, tanto meno  il fatto che tra le fonti d’ispirazione dantesche ci sia un testo arabo. Erroneamente molti letterati italiani credettero che Miguel Asìn Palacios volesse sminuire l’autore quando nel 1919 nel suo saggio “Dante e l’islam” ipotizzava che tra le sue fonti d’ispirazione ci fosse il “Libro della scala” o della ascesa di Maometto in cielo, un libro escatologico arabo, tradotto poi in Castigliano da un medico ebreo. Non si è parlato, però, di tradimento della Patria quando si scoprì  che Dante era stato influenzato dallo scrittore lombardo Bonvesin de la Riva, autore del Libro delle tre scritture, poema articolato in tre parti. Nella prima, intitolata «De scriptura nigra», si descrivono le pene dell’Inferno; nella seconda, «De scriptura rubra», si descrive la passione di Cristo e nell’ultima, «De scriptura aurea», si parla dei beati del cielo. Il tema delle opere è noto, e si cita Bonvesin de la Riva per dire che sì, il tema può essere sempre lo stesso, ma ben diversa e dettagliata è la resa dantesca. In molti altri casi, come nel campo artistico e letterario, il genere è lo stesso ma la grandezza di un poeta non si misura in questo modo e al contrario l’idea di cultura non deve diventare una gara tra chi ha il poeta più grande.  Mettere in competizione Dante, Shakespeare, Goethe e Cervantes, coinciderebbe con la morte della letteratura. Altra colpa di Widmann e di aver ammesso che leggere Dante è molto difficile, soprattutto studiarlo a scuola; in prima battuta sarebbe normale dire che molti studenti italiani, magari quelli che affrontano davvero il testo della Commedia, sarebbero d’accordo su questo fatto. Se leggere Shakespeare risulta più facile e agevole, non può essere imputata a Dante la colpa di essere “difficile”; bisognerà piuttosto inquadrare la Commedia nel contesto della cultura medievale, una cultura molto complessa. E’ Dante stesso che nel Convivio avvisa i lettori  di non prenderlo mai alla lettera, di fare ricorso a interpretazioni e seguire i quattro sensi della Scrittura per comprendere bene le sue pagine. Arno Widmann, ovviamente, è a conoscenza delle differenze tra Dante e Shakespeare, è una figura di spicco tra gli italianisti tedeschi, ha tradotto non solo Umberto Eco, ma anche Curzio Malaparte e Victor Serge. Si può pensare quindi che un intellettuale del suo rango abbia potuto dire simili fesserie su Dante? La risposta è no, semplicemente la questione non riguarda Dante ma il fatto che di lui si voleva fare un uso strumentale. L’intera situazione di falso pericolo, il dover decidere se attaccare o difendere Arno Widmann è stato solo un pretesto, un modo per distogliere l’attenzione pubblica su un fatto ben più importante. In quelle ore infatti, si sarebbero dovuti riaprire teatri, cinema e circoli di lettura, invece non è andata così. La crisi in cui vivono teatri, librerie e editori dovrebbe essere una priorità così come il fatto che l’Italia è terz’ultima in Europa per investimenti statali in attività culturali. Bisogna ricordare gli ideali di Dante, quelli che mantenne fino alla fine, quando rifiutò di tornare a Firenze, perché così avrebbe accettato delle colpe che non aveva, perciò se il costo di tornare nella sua città era la menzogna, allora preferiva morire nella verità dell’esilio. Difendere la verità è un ottimo modo per rendere omaggio al nostro poeta, ma trasformarlo in un pretesto per infuriarsi con altri dagli spalti sarebbe riportare quella politica che lui stesso disprezzò e cercò di non far vincere a Firenze.

 

                                                                                                                                        Wiam Ferram (3A LSO)