Conflitto Russia e Georgia, la guerra lampo

La crisi tra Georgia e Russia è tutta riassunta nelle parole lapidarie del attuale presidente  russo Vladimir Putin a Bush: "La guerra è iniziata", gli ha detto a Pechino, sul palco delle autorità davanti alla cerimonia di apertura dei Giochi 2008. Perché l’8 agosto 2008, in Ossezia del Sud, repubblica secessionista filorussa, sono state le armi a parlare. All'alba l'esercito di Tbilisi entrò nella regione, formalmente sotto il suo controllo, occupò villaggi e colpì la capitale Tskhinvali con cannoni e artiglieria. I dirigenti separatisti parlavano di una devastazione quasi totale della città e denunciavano un bilancio di 1400 vittime. L'esercito russo bombardò prima  alcune basi georgiane e poi entrò a Tskhinvali, dove distrusse alcune postazioni nemiche. Malgrado l'annuncio nella serata del l’8 agosto del presidente Saakashvili ("Controlliamo la maggior parte del territorio sudosseto, tra cui la capitale"), il comando russo annunciò la ripresa di una violentissima battaglia fra le forze di interposizione di Mosca e l'esercito georgiano a sud della capitale.

La crisi nel Caucaso spaventa e divide la comunità internazionale. Nell'Ossezia del Sud il 90% degli abitanti aveva il passaporto russo. I separatisti chiesero la riunione con la parte settentrionale del  Paese, che faceva parte della Federazione russa. Tbilisi si oppose all'indipendenza della regione e chiese aiuto all'alleato americano. Gli Stati Uniti, per bocca del segretario di Stato Condoleeza Rice, chiesero alla Russia di ritirare le truppe e cessare i bombardamenti. Washington,  sosteneva l'integrità territoriale della Georgia, e stava per inviare un mediatore nella regione. Secondo l'ufficio dell'Onu che si occupa dei rifugiati (Unhcr), erano migliaia i profughi in fuga dall'Ossezia del Sud verso la Russia.

Dopo la feroce battaglia del 7 agosto tra truppe di terra georgiane e le milizie separatiste, Tbilisi lanciò la mattina dell’8 Agosto bombardamenti aerei contro la provincia autonoma ribelle osseta. Caccia-bombardieri georgiani colpirono in due ondate successive postazioni dei ribelli nei dintorni del villaggio di Tkverneti. Il presidente Saakashvili ordinò la mobilitazione generale, prima di proclamare un cessate il fuoco di tre ore per consentire l'apertura di un corridoio umanitario che permetteva l'evacuazione dei civili e dei feriti, come era stato chiesto dalla Croce Rossa.

La reazione di Mosca non si fece attendere: una colonna di blindati russi entrò in Ossezia del Sud e raggiunse nel pomeriggio la capitale Tskhinvali, dove aprì il fuoco e distrusse alcune postazioni georgiane. L’allora presidente russo Dmitry Medvedev si impegnò a "proteggere la vita e la dignità" dei cittadini russi in Ossezia del Sud e avvertì che i responsabili delle morti dei suoi connazionali "riceveranno la meritata punizione". Gli fece eco il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che accusò Tbilisi di fare pulizia etnica. Sarebbero 1400 le vittime secondo Teimuraz Kasaev, "ministro" della repubblica separatista georgiana. Tbilisi disse di aver abbattuto almeno cinque aerei russi, una notizia smentita da Mosca dal Cremlino, che parlò di 12 soldati morti 150 feriti nelle file del suo esercito negli scontri di quella mattina.

La Georgia chiese aiuto agli Usa. Tbilisi accusò Mosca di avere attaccato il suo territorio: i jet russi bombardarono due commissariati di polizia a Gori, luogo di nascita di Stalin, e Kareli, dove le truppe regolari della Georgia si erano radunate per sferrare poi l'offensiva di terra. Un raid che secondo i georgiani ha provocato 30 morti. "E' come se la Russia ci avesse dichiarato guerra", commentò un portavoce dei servizi di sicurezza. Per via dell'emergenza, la Georgia ritirò i suoi 2mila soldati impegnati in Iraq (il Paese era il terzo contributore di truppe) e chiese all'alleato americano degli aerei per trasferirli. In un'intervista alla Cnn il presidente georgiano Saakashvili sollecitò l'intervento degli Stati Uniti: "Non è più solo una questione georgiana. Si tratta dell'America e dei suoi valori. Noi siamo una nazione amante della libertà che ora si trova sotto attacco".

"Gli Stati Uniti chiedono un immediato cessate il fuoco nel conflitto armato. Chiediamo alla Russia di interrompere gli attacchi, rispettare l'integrità territoriale delle Georgia e ritirare le proprie forze da combattimento dal suolo georgiano". La posizione di Washington è affidata alle parole del segretario di Stato Condoleeza Ricce, che dopo avere preso contatti telefonici con le parti, lavorò con gli alleati europei per arrivare a una mediazione internazionale. Bush e Putin, entrambi alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici, ebbero un colloquio in cui il tema principale è stata la situazione nel Caucaso. Il contenuto è stato divulgato dal portavoce di Putin. "La guerra di fatto è iniziata", dopo quella che il Cremlino definisce "l'aggressione" alle forze di interposizione di Mosca, disse il premier russo al presidente americano. "Nessuno vuole un conflitto", avrebbe replicato il numero uno della Casa Bianca. Il Pentagono fece sapere di seguire lo sviluppo della crisi con grande attenzione.

A New York fu convocata una nuova riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, dopo quella dell’ 8 agosto, in cui non si era riusciti ad arrivare ad una dichiarazione congiunta sul cessate il fuoco.  Mosca inviò una nota ai Paesi Nato chiedendo di non dare più dare sostegno al presidente georgiano, che aveva scatenato "un'aperta aggressione accompagnata da una guerra massiccia e propagandistica".

Nel settembre 2008, la Georgia interruppe le relazioni diplomatiche con la Russia, e dal marzo dell’anno seguente, sezioni degli interessi dei due paesi lavorarono a Tbilisi e a Mosca, nelle ambasciate della Svizzera. Nel 2009, una commissione internazionale che indagava sulle cause della guerra russo-georgiana, guidata dal diplomatico svizzero Heidi Tagliavini, ha concluso che “la Georgia ha cominciato i combattimenti, ma le azioni provocatorie della Federazione Russa contribuirono a questo”. I risultati della commissione di Tagliavini furono criticati in Georgia e in alcuni paesi dell’UE, per quanto non stabiliscono pienamente il grado di responsabilità della Federazione Russa per l’escalation del conflitto.

 

Gvosdiezcha Tatiana, III C LSA